I termini marinareschi nell’autarchia linguistica

C’era una volta Pulcinella che ripeteva spesso questo adagio popolare: “loda il mare e tieniti alla terra”, ma quasi novanta anni fa il comandante Conte Carlo Bardesono di Rigras invertì la frase della celebre maschera partenopea inserendo il motto “loda la terra e tieniti al mare” soprattutto per polemizzare con la diffusa abitudine di prendere in giro coloro che, solcando le onde, usavano termini inconsueti e talvolta bizzarri.

So bene anch’io che, per inconfessati pruriti, i più terricoli sanno che cosa voglia dire “cazzare” e, dopo questa loro esibizione di intriganti assonanze, si pentono della loro “cazzata” e rimediano lasciandosi andare a citazioni più pacate quali “babordo” e “tribordo”, che il comandante Bardesono definisce termini assurdi che nessun marinaio italiano ha mai usato né userà e che, aggiungo io, ricordano le didascalie di vecchie storie a fumetti in cui lottavano fantastici pirati.

Il Vocabolario Marinaresco del Comandante Conte Carlo Bardesono di Rigras

Ecco allora che nel Vocabolario Marinaresco pubblicato nei primi decenni del secolo scorso, in anni in cui la purezza del linguaggio era un dovere politico, emerge l’origine di questi termini importati da altri paesi stranieri.

Sulle antiche navi francesi c’era la consuetudine di scrivere a grosse lettere, all’interno della prora, là dove erano installate le principali artiglierie, la parola “Batterie”, in francese “Batri”.

Poiché la parola veniva scritta trasversalmente nella parte centrale, in modo da poter essere letta da chi volgeva il viso a prora, la prima sillaba “BA” rimaneva verso il lato sinistro del bastimento, e il restante dello scritto “TRI” risultava sulla destra. Ecco da dove nasce l’abitudine dei marinai francesi d’indicare “BA-bord” il lato sinistro, dove appunto si trovava la sillaba “ba” e “TRI-bord” il lato destro verso cui residuava l’altra sillaba “tri”.

L’abitudine nostrana, sia nella Marina Militare sia in quella Mercantile, è quella di chiamare semplicemente “sinistra” appunto il lato di sinistra mentre invece è invalso l’uso di chiamare correttamente “dritta” tutto ciò che ha riferimento con il lato destro.

Sfogliando l’anastatica di questo corposo dizionario, ritroviamo un’altra curiosità nel termine marinaresco di “paccottiglia” che invece nell’uso comune noi adoperiamo per indicare delle cose di scarso valore e di pessimo gusto tanto da aver coniato l’espressione spregiativa per alcune merci che vengono definite “paccottiglia per turisti”.

In origine s’intendeva con questo termine il contratto di cointeressenza tra il capitano di una nave mercantile e un mercante che gli affidava delle merci per negoziarle, concedendogli una determinata partecipazione agli utili ricavati dalla vendita.

Lo stesso nome di “paccottiglia” stava inoltre a indicare una piccola quantità di merci di poco volume, ma di rilevante valore, che talvolta qualche persona dell’equipaggio di una nave acquistava e trasportava per proprio conto al fine di trarre un profitto dalla successiva vendita quando sarebbe tornato a casa e sbarcato.

Un piccolo contrabbando, non per forza di cose proibite come potrebbe essere oggi con le droghe o altri stupefacenti, ma di preziosità ricercate dalla moda o più semplicemente come ricordo, avveniva a Trieste negli anni cinquanta quando solo i marittimi portavano a casa e rivendevano i preziosissimi vasetti del “balsamo di tigre”, che avrebbe dovuto alleviare infiniti malanni.

Ho trovato oltremodo interessante ripercorrere le disquisizioni derivanti dal termine “mezzomarinaio”, cioè dal gancio di accosto, quello strumento indispensabile a bordo di qualsiasi natante per compiere soprattutto l’ormeggio, ma anche in ogni circostanza in cui serva catturare e cogliere qualche cosa che galleggia sull’acqua o pende da un molo.

L’autore condanna immediatamente il francesismo “gaffa” talvolta usato (lui dice) impropriamente per indicare questo strumento e cita invece il più antico e “italianissimo” nome di “alighiero” per designare il “gancio di accosto”, volgarmente detto “mezzomarinaio” e poi spiega: il cui ferro si compone appunto di una “ghiera” centrale e di due “ali” laterali (i ganci) da cui la parola composta “alighiero”.

Ma non finisce qui, poiché la spiegazione del termine marinaresco continua e ci racconta che questa voce la si usava già comunemente nei primi secoli del Volgare italiano nelle acque della Val Padana.

Da questa deriva il casato di Dante, la cui famiglia ha avuto appunto origine nella Val Padana (vedi Paradiso canto XV) e da ciò il comandante Carlo Bardesono trae lo spunto per andare in acuto italico e testualmente annota “Le genti dell’Italia unificata dovrebbero vedere nel nome marinaresco del grande Poeta … un segno del destino, un presagio di gloria marittima!”.

Tutto doveva essere rigorosamente italianizzato, tant’è che in alternativa all’ormai desueto “panfilo”, ormai sopraffatto dal termine “yacht”, il Vocabolario conia il termine “IOT” proponendo questa ortografia fonetica per la voce “yacht”. “Quanto meno si raggiungerebbe così lo scopo di udire la parola ben pronunziata anche da coloro che non conoscono le lingue straniere”.

Dulcis in fundo! Il termine “spinnaker” non va proprio giù al compilatore del dizionario perché è un termine nuovo, nella sua epoca da poco introdotto e che lui colloca in fondo al suo lavoro tra “aggiunte e varianti” in cui non manca però la sua proposta di una ennesima traduzione italica.

Attinge  dalle nomenclature dei velieri con le vele quadre e ritiene più appropriato, per la forma e la funzione svolta, tradurre lo “spi” con il termine “scopamare”.

Oggi ci sarebbero troppi termini da tradurre e forse anche il purista più esasperato si arrenderebbe, o forse anche no.

Invece di one off, di day cruiser, di bowrider, di flying bridge e di fisherman, che termini si dovrebbero inventare?

Sono solo certo che, ad esempio,  i motoscafi “walk around” potrebbero chiamarsi “passeggiatrici”.

Buon vento.

Gennaro Coretti

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