A breve partirò per una bella traversata in barca a vela, e questo blog prenderà davvero la forma di un diario di bordo, perché tutto questo parlare di barche fa male, se poi non si mollano mai gli ormeggi. Il mare va vissuto dal mare, per essere vissuto veramente. E’ una dimensione diversa dalla terra, e se si guarda il mare da riva non si potra’ mai capire cosa vuol dire. E’ un po’ come la differenza tra la teoria e la pratica…
Tra il dire e il fare, non a caso, c’e’ di mezzo il mare.
Si può sapere tutto, in teoria, su come dare ancora, sul miglior angolo del genoa per il traverso, su dopo quanti nodi di vento reale si deve prendere la prima mano di terzaroli alla randa, ma poi va fatto. E va fatto quando si ha sonno, quando fa freddo, all’improvviso, quando qualcosa si e’ rotto o non funziona, quando la terra e la connessione internet sono lontani e si può fare affidamento solo sulle proprie forze. E così parto, per andare a mettere in pratica un po’ della teoria che mi hanno insegnato. Avro’ mille miglia di oceano Atlantico davanti a me, e quasi altrettante di Mediterraneo, per rientrare in Toscana dalle Azzorre.
Ci sono tante cose a cui pensare prima di una partenza così… L’oceano non e’ uno scherzo, anche se il Mediterraneo sa essere più cattivo, con le sue onde ripide, le perturbazioni e il famigerato Golfo del Leone. La barca deve essere preparata al meglio, tutto deve essere controllato e sistemato a regola d’arte: sartie, cime, bozzelli, rinvii, appendici, motore. Bisogna studiare bene la meteo: siamo ancora al limite della primavera, e c’e’ ancora in giro per l’Atlantico qualche bassa pressione che nelle sue code da’ vento buono da Sud Ovest, prima che entri il Levante e diventi impossibile arrivare a Gibilterra. Si deve sapere che per diversi giorni non ci sarà niente e nessuno con noi oltre alla barca, all’equipaggio, e al vento. Quando si affrontano navigazioni di questo tipo su buone barche e con bravi comandanti, in sicurezza, e’ proprio l’aspetto psicologico quello più difficile da affrontare per l’equipaggio. Non sono un’esperta, ma immagino che molto abbia a che fare con la misura in cui si riesce ad amare l’emozione purissima che ti da’ una barca che plana sulle onde sospinta dal vento. C’e’ chi lo trova noioso, e perde un po’ le staffe. C’e’ chi trova che sia una fonte continua di meraviglia e ispirazione, e vorrebbe continuare e continuare…