Chi possiede una qualsiasi barca viene chiamato “armatore” e poco importa se lo scafo è lungo venti o appena tre metri, e tanto meno se la propulsione è a vela, a motore o solo a remi, poiché il legittimo proprietario sarà comunque obbligato a dedicarle il rispetto che le compete.
Secondo me non dovrebbe esistere nemmeno un gommone, una batela o un sandolino a cui possa venire negata la dignità di possedere un nome.
Avete presente quando rinfresca il vento e il mare s’increspa e si fa minaccioso ? In quei momenti potreste elaborare nella vostra mente la difficoltà di giungere sano e salvo o almeno asciutto all’ormeggio. Giunti finalmente in porto e dopo aver finito l’ormeggio vi sentirete obbligati di ringraziare tutti coloro che hanno condiviso il merito della navigazione giunta a buon fine. Mi congratulerò con il comandante (anche una autocelebrazione ogni tanto non guasta) poi con tutto l’equipaggio, ma non potrò certo esimermi dal dire, sussurrare, o almeno pensare: quanto è stata brava … l’innominata!
Il nome della barca, classico o in tendenza, cioè che sia Maria o My Dream, viene deciso, dedicato e imposto da chi si è “fatto” la barca e poi decide di vararla per la prima volta. Dico “fatto” per conservare la continuità storica tra i tanti armatori che un tempo materialmente la costruivano e i molti che invece oggi, con un’unica sudata, staccano l’assegno per farsela propria.
Attenzione! Quando vi dovesse capitare di acquistare un natante usato, astenetevi dai soliti voli pindarici per inventare un nuovo nome. Solamente se la poverina ne fosse sprovvista, avrete l’obbligo di attribuirglielo con la solennità che la tradizione impone per questa circostanza, altrimenti voi avrete semplicemente adottato una creatura, che è già stata “battezzata“ con il rito del varo, alla quale il primo armatore ha imposto il nome che dovrà distinguerla da ogni altra barca.
Ecco perché si dice che cambiare radicalmente il nome porta male. Ed è invece consentito aggiungere al nome originale quello desiderato dal nuovo armatore.
Facciamo un esempio semplicissimo: se la barca reca scritto sullo scafo o nei documenti il nome “Maria” e io voglio invece dedicarla a “Giulia”, potrò aggiungere il nuovo nome soltanto in questo modo “Maria di Giulia“. Con questo stratagemma se i precedenti nomi fossero stati particolarmente fantasiosi, potrebbero scaturire delle brillanti soluzioni: “My Love Angela“, “Valentina of my dream“, “Only you Teresa” oppure cadere vittima di situazioni più complicate come potrebbe essere per “Refosco di Maria“; diventa quasi tragica la soluzione di chi volesse dedicare all’amata, senza poter mutare il nome, l’acquisto di “Cocal“.
L’altra regola fondamentale e incontrovertibile è il genere maschile o femminile dell’imbarcazione a prescindere dal nome attribuitole. La tradizione marinara impone infatti che tutte le imbarcazioni appartenenti alla Marina militare siano maschili mentre quelle mercantili e da diporto siano femminili. Fra le imbarcazioni da regata della Marina ci dovrebbe essere ancora “il” mitico “Stella Polare“ e non possiamo dimenticare “il” noto a tutti “Vespucci“.
Per converso, sembra stonare, ma ci sforzeremo di dire “la Mario “ e “ la Refosco “ .
Esiste quindi un galateo nautico da rispettare, le cui regole, mai scritte, sono suffragate dalle tradizioni orali che spesso degenerano in falsi rituali. Paolo, ne ometto il cognome, mi aveva assicurato che per sostituire la dedica del nome a una barca, sarebbe stato necessario che il nuovo armatore s’intrattenesse a bordo con una professionista del meretricio e solo dopo aver compiuto questo “rito“ nessun maleficio avrebbe ostacolato l’apposizione del nuovo nome.
Buona la scusa! Ritengo che il dare credito a una di queste balzane idee, abbia favorito il fatto che Lei accettasse alla fine che “Maria Cocal *“ diventasse il nuovo nome della sua barca. Buon vento.
* Cocal – nel dialetto veneto è genericamente il gabbiano, al figurato vale per stupido, sprovveduto da cui la frase……stupido come un cocal .