Liscia e lucente come argento appena lucidato, con muso aggressivo e occhi brillanti che quasi intimorivano un ragazzino che per la prima volta vedeva stringere tra le mani forti di suo padre qualcosa di incredibilmente bello: una leccia. Sono passati circa trentacinque anni da quel pomeriggio di settembre in cui, pescando dalle scogliere di Villasimius, guardavo mio padre recuperare in silenzio un pesce di piccole dimensioni che aveva fatto pochi attimi prima vibrare la vetta di un vecchia Lerc, una canna leggera che usavamo per pescare saraghi e spigole a fondo e che oggi potremmo paragonare per potenza ad una canna da beach ledgering. Mio padre recuperava velocemente e in maniera scocciata quel piccolo pesce che aveva rovinato il generoso boccone, destinato a qualche grossa spigola.
“Come diavolo questo pescetto è rimasto agganciato, non me lo spiego”, mio padre non finisce questa frase quando una forte botta gli piega violentemente la vetta e, cogliendolo alla sprovvista, quasi gli stappa via la canna dalle mani.
Qualcosa aveva ingoiato il piccolo pesce recuperato e era rimasto a sua volta vittima del nostro inganno. Qualche minuto di lotta prima di poter vedere emergere dalle cristalline acque sarde la prima leccia della mia vita. Credo proprio che mi tremassero le mani mentre dalla scogliera sporgevo il coppo nel quale mio padre faceva scivolare un pesce di due o tre chili di peso. Non era certo grande, trattandosi di una leccia, ma a me sembrava enorme! Un pesce di un’importanza unica nella mia vita, visto che è stato quello che ha fatto nascere in me un grande amore che dura tutt’ora: la pesca per le lecce e i carangidi in generale.
Da allora, solcando le onde, di schizzi d’acqua in faccia ne ho presi fino alla nausea. Eppure, quel grande amore non si è attenuato nemmeno un po’ e, probabilmente, è anche aumentato.
Per rimanere in tema, dunque, in questo e nei prossimi servizi a mia firma, cercheremo di dare alcuni piccoli suggerimenti a chi per la prima volta si avvicina ad una pesca veramente bella: la traina col vivo alla leccia. Suggerimenti che forse potrebbero risultare utili anche a chi ha qualche anno di esperienza ma ha voglia di un confronto e di analizzare nuovi spunti.
Credo che la pesca sia ricerca continua e sperimentazione costante. Le tattiche che adottiamo sono frutto delle tante esperienze fatte in mare, dei successi ma ancora più degli insuccessi. Spesso è proprio il confronto con gli altri angler che ci stimolano a tentare nuove strade dando vita ad un circolo virtuoso che porta spesso a nuovi traguardi.
Dove praticare la traina
Dalle abitudini spesso gregarie, specie nelle taglie più piccole, la leccia è un pesce molto comune con grandi capacità di adattamento alle attività antropiche e proprio per questo non è difficile trovarla in caccia all’interno di porti o porto-canali. E’ però un pesce con abitudini prevalentemente pelagiche, ed è la pesca dalla barca certamente la più indicata per cercare di insidiarla in diversi periodi dell’anno e in ambienti anche molto diversi tra loro.
Dalla barca, una delle tecniche che dà maggiori risultati è la traina con il vivo. Questa la potremo effettuare lungo la costa su fondali medio bassi e, in particolar modo, in corrispondenza delle foci dei fiumi, di centrali idroelettriche (caratterizzate da canali che gettano in mare potenti flussi di acqua calda legati ai sistemi di raffreddamento delle centrali stesse), delle entrate dei porti e, in ultimo lungo, in aree caratterizzate da significative risalite di fondale, aree che in più occasioni si possono rivelare buoni hot spot anche per un altro carangide oggetto dei nostri desideri: la ricciola. La pesca alla leccia è in assoluto una delle pesche più emozionanti, mirata a pesci di grossa taglia ma che nel contempo, essendo praticata nel sottocosta, si distingue per essere una pesca alla portata di tutti. In condizioni di mare calmo può essere effettuata anche con piccole barche o gommoni di piccole dimensioni. Insomma, un tipo di pesca che non si può non conoscere!