Dovendo immaginare il peggiore degli scenari, eccolo che si avvera. La scissione in due degli organi di rappresentanza (ma lo sono veramente?) delle imprese che operano nella nautica da diporto, ha preso la peggior deriva possibile. E tutto questo mentre il settore, che prova ad essere impermeabile alle beghe tra associazioni, tenta faticosamente di risalire da una crisi che sembrava senza fine e segna i primi veri “più” nell’andamento economico.
La storia è nota, e anche piuttosto noiosa. Da una lato UCINA, da sempre parte di Confidustria, dall’altra Nautica Italiana. L’ultimo atto riguarda proprio la decisione di Confindustria di non accettare al suo interno Nautica Italiana. Questo era invece l’obiettivo primario dell’associazione presieduta da Lamberto Tacoli, primo passo per poi provare a scavalcare definitivamente Ucina, forte della sua maggior rappresentanza in termini di fatturato dei soci (Ucina vince invece per numero di associati, insomma da un lato a forza delle finanza, dal’altro quella della partecipazione).
Confindustria sembrava poter essere l’organo super partes capace di ricomporre il conflitto al suo interno e la decisione di non accettare Nautica Italiana ha scatenato la sua reazione feroce (non ci sono altre parole per definirla): esclusa il 21 luglio, il 22 luglio parte il comunicato stampa congiunto in cui i cantieri parte dell’associazione (Apreamare, Azimut|Benetti, Baglietto, Cantiere delle Marche, Cantieri di Sarnico, Colombo, Gruppo Ferretti, Maltese, Mase Generators, Mondomarine e cantieri di Pisa, Opem Sistemi, Perini, Picchiotti, Tecnopool, Viareggio Superyacht, Vismara Marine) non solo annunciano la loro uscita da Confindustria, ma lo fanno con parole come: “Per l’ormai prolungata mancanza di attenzione, servizi e dedizione strategica al comparto nautico da parte di questa Confindustria, che si limita a svolgere una attività di supporto sindacale per le aziende a fronte di cospicui contributi.”
E non sono mancati gli attacchi diretti ad Ucina: “…che in questi anni non ha saputo bilanciare correttamente le iniziative a supporto della piccola nautica e di quella di grandi dimensioni, che si è invece concentrata principalmente sull’organizzazione del salone nautico di Genova. Ucina non presta alcuna attenzione al’ innovazione, ma per contro redige bilanci sui quali sono stati sollevati gravi dubbi dall’organo competente, tanto in Ucina stessa, quanto in sede confederale. Ultimo, ma non ultimo, si tratta di una associazione presieduta da un dipendente di un gruppo francese, il gruppo Bénéteau, diretto concorrente della industria italiana. Un elemento poco compatibile per aziende impegnate a tenere alta l’immagine del Made in Italy nel mondo”.
La risposta di Ucina? Ben lontana da smorzare i toni: “Nautica Italiana ha pubblicato un comunicato stampa gravido di ingiurie e falsità nei confronti di Ucina, colpevole solo di avere dimostrato la propria maggiore rappresentatività, confermata anche dall’appartenenza al sistema di Confindustria che origina dall’anno 1967. Le regole di Confindustria ammettono una sola associazione rappresentativa del sistema della nautica italiana e questa è stata confermata essere Ucina alla luce di elementi oggettivi. Quindici aziende (12 considerando l’appartenenza a 3 gruppi), aderenti a Nautica Italiana, dichiarano di voler uscire da Confindustria. Comportamento in evidente disprezzo delle regole del buon diritto. Spiace dover constatare che a distanza di oltre un anno le poche aziende fuoriuscite continuino a disprezzare i principi della democrazia e le regole del buon diritto. Spiace ancora constatare che le poche aziende fuoriuscite si scaglino con ingiustificata acrimonia contro Ucina, le aziende ad essa consociate, le persone che la rappresentano e lavorano per il suo successo, introducendo elementi di evidente falsità con parole aggressive e violente”.
Il tutto avveniva a pochi giorni dalla conferenza di presentazione della prossima edizione del Salone Nautico. Insomma, guerra aperta. Non si vedono reali spiragli di tregua aprirsi da entrambe le parti, al di là delle dichiarazioni d’ufficio. La domanda riguardo la parte da cui schierarsi è oziosa, soprattutto per un giornale. Il risultato finale di tutto ciò è che la rappresentanza nelle istituzioni si indebolita e rischia di peggiorare; che l’unico vero salone nautico italiano esistente, si è indebolito ancor di più; che la fiducia degli operatori del settore, sta toccando i minimi storici.
Continua la lotta, noiosa e dannosa, tra due associazioni. I problemi non si risolvono. La cosa più triste è questa lotta non è solo per la conquista di un po’ di potere, ma nasce soprattutto dal’incancrenirsi di dinamiche e inimicizie storiche che vanno anche ben al di là di motivi economici e politici. Insomma un campo dove non prevale la ragione. E quanto avvenuto negli ultimi due anni è lì a dimostrarlo.
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