“Vivendo i marittimi ed in ispecie le ciurme, in condizioni e con abitudini diverse da quelle del resto della società, avviene che le loro facoltà intellettuali e la fisica complessione ricevono delle modifiche tali da far loro assumere un carattere tutto proprio e distinto”. Esordisce così il dottor Antonio Felice Giacich di Fiume per descrivere gli “effetti della vita marina sul morale e sul fisico“.
I toni e la lingua usata ci rivelano che siamo indietro nel tempo, esattamente nel 1854, e questo medico istriano, professore “d’igiene navale“, traccia un profilo psico-fisico, si direbbe oggi, dei marittimi del suo tempo. Una descrizione più romantica che scientifica, ma che ancora oggi si adatta perfettamente a coloro che subiscono il fascino dell’andar per mare.
Il Giacich si riferiva ai marinai di professione e non certo ai diportisti, ma rileggendolo dopo un secolo e mezzo ho trovato nelle sue annotazioni il seme di quella diversità che distingue da tutti gli altri coloro che amano andar per mare.
Quante volte ci sentiamo ripetere dagli “altri“ che siamo dei “fissati“ perchè non perdiamo mai l’occasione per parlare di barche, di mare, di navigazione e, per dirla con Giacich, “i marini non amano entrare in nuovi rapporti di cultura estranei alla loro sfera, preferendo le occupazioni, nonché i difetti della loro professione, rare volte divergono da questi le loro inclinazioni e ricerche.”
Si potrebbe riassumere che chi va per mare è culturalmente monotono e rifiuta qualsiasi interesse per ciò che non ha stretta attinenza con il mare.
Il professore fiumano, che lavorava e scriveva per il leggendario Lloyd Austriaco di Trieste annota inoltre che i naviganti coltivano più di chiunque altro l’amor di Patria perchè, sempre esuli per il mondo, coltivano meglio gli affetti per la propria famiglia e per la terra natia e “vanno non di rado incontro a mali morali, in ispecie alla melanconia e alla nostalgia“ .
Se possono apparire un po’ deboli nei sentimenti, i naviganti sono invece particolarmente temprati nell’affrontare le avversità in quanto spesso si trovano “nell’alternanza di casi di fortuna prospera e avversa“ e quindi sanno superare pericoli e disastri con particolare forza d‘animo.
Questa romantica generalizzazione si è tramandata fino ai giorni nostri e di essa si ammantano anche coloro che passano il loro tempo più in banchina che in navigazione: basta vestire alla marinara e “farsi” la barca per appartenere al mondo dei capitani coraggiosi.
Se i se-dicenti skippers avessero letto Antonio Felice Giacich ricaverebbero altro conforto dalle esaltanti teorie che questo medico ottocentesco elabora sullo stato fisico di quelli che lui chiama i “marini”.
Noi ci accontentiamo di un velo d’abbronzatura per esibire bellezza e buona salute, ma il docente d’igiene navale trascura gli estetismi a va più sul concreto. “Il genere di vita che si mena sul mare non modifica soltanto l’indole morale dei naviganti, ma influisce eziandio prontamente sulla costituzione del loro corpo“.
Le moderne agenzie di charter potrebbero trasformare il suo trattato in infiniti spots pubblicitari quando arriva al punto di concludere che “non pochi gracili ed infermici, superati i primi patimenti, invigoriscono, come se avessero cangiato natura e forma“.
La promessa attualizzata diventa notevole: … naviga che diventi sano e forte!
Non è affatto una novità, io l’avevo sempre pensato e detto.
Buon vento!